Lug 302006
 
Recensione Soul of Chogokin Gx-31 Voltes V
Produttore:
Data prod.:
Maggio 2006
Materiali:
ABS, PVC, Die-Cast
Accessori:
Piedistallo, tre paia mani, una Chain Knuckle, due Chodenji String, due Chodenji Goma, un Gatling Missiles, due Tenkuken di cui una pieghevole e montata nel torace del robot, lo sparviero meccanico con relativo reattore
Altezza:
n.d.
Peso:
720 (g)
Manuale:
Libretto cartaceo, a colori, molto dettagliato
Fornitore:
www.hlj.com
Prezzo orig.:
17380 yen

La recensione

Cominciare una recensione su questo modello è davvero difficile.

In prima battuta perché fin dalle prime foto, era evidente che questo Voltes avrebbe avuto luci ed ombre come nessun SOC prima; a seguire perché facente parte di quella ristretta categoria dei “componibili”, vero e proprio tallone d’Achille della produzione BANDAI fino ad ora mostrata. Detto questo quindi, comincio dalla fine, ovvero dal giudizio complessivo: a me non è piaciuto particolarmente e ne sconsiglio l’acquisto a chi non sia affezionato alla serie televisiva. Continuate a leggere se volete sapere il perché.

Partendo dalla descrizione della confezione, ci troviamo davanti alla (ormai) classica scatola Soul of Chogokin, con la foto del modello in primo piano, simulazione di qualche effettino e sul retro una bella collezione di foto in action dello stesso.

Aperta la scatola, e rimosso il coperchio di polistirolo… ah! Una novità. Finalmente qualcuno alla Bandai ha pensato di strizzare un occhio ai vecchi malinconici collezionisti con un bel cartone in stile vetrinetta vintage, ma la cosa è riuscita a metà, perché trattasi solo di cartoncino sagomato privo del PVC trasparente. Vabbé un’occasione persa.

Ogni elemento è posizionato con cura, l’impatto visivo è notevole, il migliore fino ad ora per la linea componibile. Tutti i pezzi sono protetti da un sacchettino trasparente, e sono in modalità di aggancio. termina il corredo la basetta che richiama il “Big Falcon” ed il solito manuale.

Nel complesso la confezione mantiene gli elevati standard a cui siamo abituati, unica nota stonata, escludendo la finta vetrina, le lame dell’ ASTRONAVE DI TESTA attaccate agli sprue. Inutile e problematica rimembranza di tempi lontani.

Estraendo tutti i pezzi dalla scatola, si apprezza soprattutto la quantità di accessori, ma si nota anche che la qualità di costruzione e la colorazione appaiono lievemente sotto tono. Sarà banale, ma le plastiche paiono più “plasticose” del solito, poco rifinite, con evidenti segni di fusione, mentre la colorazione di alcune parti è approssimativa. Cosa che nella serie di Bandai capita solo ai componibili. In particolare l’esemplare in mio possesso presenta alcune superfici non perfettamente lisce, con piccoli graffietti sulla plastica, inoltre, sul ventre color argento, sembra ci sia stata una stesura non perfetta dello strato di vernice, presentando delle gibbosità veramente antiestetiche, infine l’occhio sinistro presenta delle sbavature di colore.

Gli accessori sebbene numerosi, potevano essere presenti in maniera più completa; ritengo infatti che la confezione potesse essere più completa, aggiungendo una testa non trasformabile e alcuni elementi presenti soltanto singolarmente (come ad esempio i missili gatling), inoltre sono assenti gran parte delle armi dei singoli velivoli, se escludiamo le lame del Cruiser.

Analizzando i singoli elementi e dando per scontato il livello qualitativo medio della serie Soul of Chogokin, devo dire che il modello è decisamente sotto la media sia per materiali che per finitura, nonché per le scelte tecniche.

Se da una parte si nota ed apprezza lo sforzo di Bandai per migliorare la posabilità di questi componibili, offrendo una nuova soluzione tecnica per l’articolazione femorale, dall’altra assistiamo ad una involuzione di tutto il resto.

Tutto il modello se analizzato punto per punto è un insieme di alti e bassi, luci ed ombre, soluzioni innovative e banalità clamorose.

Per dare qualche esempio: la testa non ha articolazione su asse verticale e pochissima escursione orizzontale. Perché non prevedere due teste, una trasformabile ed una no?; Ancora, le braccia presentano uno snodo del gomito ridicolmente disassato, quando bastava prevedere due punti di articolazione invece che uno solo e pure col fulcro sbagliato. Inoltre non possono torcersi come per lo Zambot e le spalle ruotano solo su un unico asse. Certo c’è la possibilità di far scorrere la spalla verso l’alto, ma è davvero troppo antiestetico! Ed ancora: i femori sono davvero molto articolati, ma nella configurazione Frigate non restano allineati e tendono a sganciarsi, utilizzare un normale snodo era chiedere troppo? Era davvero necessario che questo Voltes, al contrario degli stoccaffissiani predecessori , facesse le spaccate? O era meglio una via di mezzo? Infine non si poteva prevedere di verniciare anche la parte interna delle caviglie? E poi lo snodo della caviglia stesso, essendo una sfera di metallo che ruota attorno ad una capsula di plastica, non è venuto in mente a nessuno che non riuscisse a fare il necessario attrito per poter garantire una stabilità maggiore?. Infine si sono dimenticati del poco trascurabile dettaglio di dove il Vultus sparava le trottole spaziali.

Insomma alla fine le domande e le perplessità della vigilia sono rimaste inalterate in questo modello. Se da un lato abbiamo finalmente un po’ di mobilità alle gambe, abbiamo perso totalmente quella agli arti superiori ed alla testa. Abbiamo perso anche la corrispondenza con il cartone, perché alcuni particolari, che facilmente potevano trovare migliore collocazione, sono stati lasciati lì in bella vista e non mi spiego il perché. Anzi una risposta me la son data, conoscendo il giocattolo vintage. In realtà questo Voltes non è la riproduzione del robot della serie animata, ma è restyling di quello vintage della popy. E lo si nota in tutto, a partire dalla decisione di non incassare quei maledetti cingoli, ma di lasciarli lì in bella vista. Ecco spiegato l’arcano.

Molti di quelli che hanno letto fin qui, non saranno concordi con quanto scritto, ma fermo restando l’opinabilità dei propri gusti, resta la certezza che questo Voltes è stato atteso per lungo tempo e che con tutta la sua esperienza, da BANDAI era lecito pretendere un prodotto più completo e simile alla serie animata.

Certo gli accessori ci sono, la spada, le trottole, il bazooka, pure i particolari non mancano, come i piloti nella cabina, le rotelline, i missilini ecc… ma quello che manca è la sostanza, l’evoluzione, che a conti fatti è mancata. Gli errori compiuti sono sostanzialmente sempre gli stessi fatti per i predecessori e sono soprattutto di tipo veniale, come materiali non curati, soluzioni tecniche dubbie, a favore di un rispetto della fedeltà, abbastanza discutibile, confermando, anche questa volta, che i componibili sono la vera bestia nera di BANDAI.

Davvero un gran peccato, vedendo che poi, messo in vetrina, questo Vultus/Voltes fa la sua figura!

Cominciare una recensione su questo modello è davvero difficile.

In prima battuta perché fin dalle prime foto, era evidente che questo Voltes avrebbe avuto luci ed ombre come nessun SOC prima; a seguire perché facente parte di quella ristretta categoria dei “componibili”, vero e proprio tallone d’Achille della produzione BANDAI fino ad ora mostrata. Detto questo quindi, comincio dalla fine, ovvero dal giudizio complessivo: a me non è piaciuto particolarmente e ne sconsiglio l’acquisto a chi non sia affezionato alla serie televisiva. Continuate a leggere se volete sapere il perché.

Partendo dalla descrizione della confezione, ci troviamo davanti alla (ormai) classica scatola Soul of Chogokin, con la foto del modello in primo piano, simulazione di qualche effettino e sul retro una bella collezione di foto in action dello stesso.

Aperta la scatola, e rimosso il coperchio di polistirolo… ah! Una novità. Finalmente qualcuno alla Bandai ha pensato di strizzare un occhio ai vecchi malinconici collezionisti con un bel cartone in stile vetrinetta vintage, ma la cosa è riuscita a metà, perché trattasi solo di cartoncino sagomato privo del PVC trasparente. Vabbé un’occasione persa.

Ogni elemento è posizionato con cura, l’impatto visivo è notevole, il migliore fino ad ora per la linea componibile. Tutti i pezzi sono protetti da un sacchettino trasparente, e sono in modalità di aggancio. termina il corredo la basetta che richiama il “Big Falcon” ed il solito manuale.

Nel complesso la confezione mantiene gli elevati standard a cui siamo abituati, unica nota stonata, escludendo la finta vetrina, le lame dell’ ASTRONAVE DI TESTA attaccate agli sprue. Inutile e problematica rimembranza di tempi lontani.

Estraendo tutti i pezzi dalla scatola, si apprezza soprattutto la quantità di accessori, ma si nota anche che la qualità di costruzione e la colorazione appaiono lievemente sotto tono. Sarà banale, ma le plastiche paiono più “plasticose” del solito, poco rifinite, con evidenti segni di fusione, mentre la colorazione di alcune parti è approssimativa. Cosa che nella serie di Bandai capita solo ai componibili. In particolare l’esemplare in mio possesso presenta alcune superfici non perfettamente lisce, con piccoli graffietti sulla plastica, inoltre, sul ventre color argento, sembra ci sia stata una stesura non perfetta dello strato di vernice, presentando delle gibbosità veramente antiestetiche, infine l’occhio sinistro presenta delle sbavature di colore.

Gli accessori sebbene numerosi, potevano essere presenti in maniera più completa; ritengo infatti che la confezione potesse essere più completa, aggiungendo una testa non trasformabile e alcuni elementi presenti soltanto singolarmente (come ad esempio i missili gatling), inoltre sono assenti gran parte delle armi dei singoli velivoli, se escludiamo le lame del Cruiser.

Analizzando i singoli elementi e dando per scontato il livello qualitativo medio della serie Soul of Chogokin, devo dire che il modello è decisamente sotto la media sia per materiali che per finitura, nonché per le scelte tecniche.

Se da una parte si nota ed apprezza lo sforzo di Bandai per migliorare la posabilità di questi componibili, offrendo una nuova soluzione tecnica per l’articolazione femorale, dall’altra assistiamo ad una involuzione di tutto il resto.

Tutto il modello se analizzato punto per punto è un insieme di alti e bassi, luci ed ombre, soluzioni innovative e banalità clamorose.

Per dare qualche esempio: la testa non ha articolazione su asse verticale e pochissima escursione orizzontale. Perché non prevedere due teste, una trasformabile ed una no?; Ancora, le braccia presentano uno snodo del gomito ridicolmente disassato, quando bastava prevedere due punti di articolazione invece che uno solo e pure col fulcro sbagliato. Inoltre non possono torcersi come per lo Zambot e le spalle ruotano solo su un unico asse. Certo c’è la possibilità di far scorrere la spalla verso l’alto, ma è davvero troppo antiestetico! Ed ancora: i femori sono davvero molto articolati, ma nella configurazione Frigate non restano allineati e tendono a sganciarsi, utilizzare un normale snodo era chiedere troppo? Era davvero necessario che questo Voltes, al contrario degli stoccaffissiani predecessori , facesse le spaccate? O era meglio una via di mezzo? Infine non si poteva prevedere di verniciare anche la parte interna delle caviglie? E poi lo snodo della caviglia stesso, essendo una sfera di metallo che ruota attorno ad una capsula di plastica, non è venuto in mente a nessuno che non riuscisse a fare il necessario attrito per poter garantire una stabilità maggiore? Infine si sono dimenticati del poco trascurabile dettaglio di dove il Vultus sparava le trottole spaziali.

Insomma alla fine le domande e le perplessità della vigilia sono rimaste inalterate in questo modello. Se da un lato abbiamo finalmente un po’ di mobilità alle gambe, abbiamo perso totalmente quella agli arti superiori ed alla testa. Abbiamo perso anche la corrispondenza con il cartone, perché alcuni particolari, che facilmente potevano trovare migliore collocazione, sono stati lasciati lì in bella vista e non mi spiego il perché. Anzi una risposta me la son data, conoscendo il giocattolo vintage. In realtà questo Voltes non è la riproduzione del robot della serie animata, ma è restyling di quello vintage della Popy. E lo si nota in tutto, a partire dalla decisione di non incassare quei maledetti cingoli, ma di lasciarli lì in bella vista. Ecco spiegato l’arcano.

Molti di quelli che hanno letto fin qui, non saranno concordi con quanto scritto, ma fermo restando l’opinabilità dei propri gusti, resta la certezza che questo Voltes è stato atteso per lungo tempo e che con tutta la sua esperienza, da BANDAI era lecito pretendere un prodotto più completo e simile alla serie animata.

Certo gli accessori ci sono, la spada, le trottole, il bazooka, pure i particolari non mancano, come i piloti nella cabina, le rotelline, i missilini ecc… ma quello che manca è la sostanza, l’evoluzione, che a conti fatti è mancata. Gli errori compiuti sono sostanzialmente sempre gli stessi fatti per i predecessori e sono soprattutto di tipo veniale, come materiali non curati, soluzioni tecniche dubbie, a favore di un rispetto della fedeltà, abbastanza discutibile, confermando, anche questa volta, che i componibili sono la vera bestia nera di BANDAI.

Davvero un gran peccato, vedendo che poi, messo in vetrina, questo Vultus/Voltes fa la sua figura!

 

LA NOSTRA PAGELLA
: ★★★½☆
: ★★★½☆
: ★★☆☆☆
: ★★½☆☆
: ★★½☆☆
Media: ★★★☆☆
PRO
  • bella presenza
  • bella confezione
CONTRO
  • finiture rivedibili
  • soluzioni tecniche dubbie
  • troppi elementi restano in vista

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